THUT-ANK-AMMON… il Faraone –Bambino

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Innanzi tutto, il faraone Thut-ank-Ammon non fu un Sovrano come gli altri, perché si trovò al centro di una vera e propria guerra di Religione e poiché attorno a lui si formarono diverse leggende, la più nota delle quali é quella della Maledizione.

Il principe Thut, si suppone fosse figlio di Amenopfi IV, conosciuto anche come Akhenaton, il Faraone Eretico, colui che introdusse una nuova Religione che metteva gli uomini tutti su uno stesso piano di fronte a Dio… un Dio Unico. Un Dio che chiamò Aton ed in onore del quale cambiò il proprio nome in Akhenaton e dette al principe erede il nome di Thut-ank-Aton.

In realtà, chi fosse veramente questo Sovrano, morto giovanissimo, non lo sappiamo. Ancora oggi si discute sulle sue origini, non essendoci prove certe sui suoi genitori. In base alle somiglianze fisiche lo si suppone ultimo figlio di Amenofi III e, dunque, fratellastro di Amenofi IV, ma si ipotizza anche che possa essere stato figlio di quest’ultimo e di una concubina.

Ancora bambino fu fatto sposare alla principessa Anksenammon, terzogenita di Akhenaton e Nefertiti e per alcuni anni visse con la giovane sposa nella nuova città di Akhetaton, in un palazzo della Regina.

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Morto il Faraone, in circostante assai sospette, e dopo un brevissimo regno del suo successore, Smenkaura, che aveva sposato Maritammon, la figlia primogenita di Akhenaton, il principe Thut, ancora giovanissimo, si trovò ad ereditare un Paese piombato in profonda crisi politica e religiosa.

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Come sappiamo, Akhenaton aveva modificato le tradizioni religiose e sociali dell’Egitto ed aveva creato una nuova capitale; tutto ciò, esautorando il potente clero di Ammon e confiscandogli i beni. Un’avventura che durerà diciassette anni, violentemente osteggiata dai preti di Ammon, contrari alla nuova Riforma ed estremamente intolleranti nei confronti di quella rottura con la tradizione. Un’avventura che si concluderà con la morte del Sovrano (in circostante sospette) e con il ritorno alla tradizione.

Il principe Thut fu riportato a Tebe insieme alla sua giovanissima sposa e qui venne eletto Faraone; il suo nome e quello della nuova Regina furono mutati in: Thut-ank-Ammon ed Ank-sen-Ammon

Aveva soltanto otto anni.

Dopo l’incoronazione avvenuta nel Tempio dinastico di Ammon, il nuovo Faraone tornò ad Akhetaton dove continuò a risiedere per ancora tre o quattro anni prima di tornare definitivamente a Tebe. Qui, sotto l’influenza del tutore, Gran Visir Eye e del generale Horemhab, dette inizio al cambiamento ufficiale della politica religiosa.

Entrambi spinti da grandi ambizioni, questi due importanti funzionari appoggiavano pienamente il clero tebano di Ammon e spinsero il giovanissimo Faraone a proclamare la restaurazione del culto di Ammon, a restituire al clero i beni confiscati ed a riportare la capitale a Tebe.

La stele di Berlino mostra il nuovo Faraone nell’atto di adorazione ad Ammon-Ra e del ritorno all’ortodossia.

Ammon sconfisse Aton, dunque, I seguaci di Ammon sconfissero i seguaci di Aton, ma non si accontentarono di questo: pretesero l’abolizione del culto di Aton e la cancellazionee da tutti i monumenti non solo del nome del suo nome, ma anche di quello di Akhenaton, bollato come Eretico. Seguì poi lo spoglio l’abbandono di Akhetaton, “La città Dell’Orizzonte di Aton” che ben presto fu inghiottita dalle sabbie e dall’oblio.

Il regno di Thut durò solo dieci anni e non segnò alcun momento di fama o di importanza. La cosa più importante legata al nome i questo Faraone, si disse, era la ricchezza della sua tomba e l’aureola leggendaria creatasi attorno alla sua figura, come la Maledizione.

Il realtà non è proprio così ed è piuttosto ingeneroso nei confronti di questo Faraone. Obiettivamente egli era troppo giovane ed inesperto, guidato da persone, (entrambi gli successero sul trono) interessate soprattutto a realizzare le proprie ambizioni: Eye, che mantenne legami tra le due città (Tebe ed Akhetaton) e il generale Paatonemheb (questo il suo nome prima di diventare Faraone con il nome di Horemhab) il quale, alla guida dell’esercito, era il vero signore del Paese ed aspettava nell’ombra il suo momento.

In realtà, esistono documenti che riguardano Thut –ank-Ammon in cui egli discute di progetti riguardanti la Canalizzazione e l’Irrigazione del territorio e perfino di un progetto sul taglio dell’istmo di Suez. Inoltre, egli promosse una certa attività architettonica volta alla restaurazione dei Templi ma soprattutto alla realizzazione di un gran numero di statue e gruppi statuari. Come quello custodito al Museo di Torino che lo ritrae assieme al Dio dinastico Ammon e che il suo successore, Haremhab si attribuì, come molte altre opere dette della “Restaurazione”, perché raccontano lo sforzo del giovanissimo Faraone di riportare il Paese alla stabilizzazione.

Il faraone Haremhab si attribuì molti dei monumenti sia di Thut che di Ay, cancellandone i nomi ed apponendovi il suo: peccato di vanità di molti altri Faraoni, soprattutto di Ramesse II. Dei monumenti di Akhenaton, invece, dopo averne cancellato la memoria, cancellandone il nome, egli ne fece uso per costruirne di nuovi.

Di Thutankammon sappiamo anche che fin dai tempi di Akhenaton mostrava già una certa indipendenza, praticando assieme al culto di Aton, anche quello di altre Divinità, quali Atum e possiamo supporre che a quei tempi la sua giovanissima età lo abbia tenuto lontano dalla disputa diretta fra Ammon ed Aton.

In politica, infine, l’azione di questo giovanissimo Faraone fu stabile ed accorta. Era in guerra con gli Ittiti, i nemici di sempre, ma cercava alleanze con Babilonia. La morte, però, lo colse durante le trattative. Lo colse a diciotto anni.

Un enigma, la morte di Thut-ank-Ammon che ancora oggi fa discutere: naturale o violenta?

Impossibile dire se fu vittima di malattia, assassinio oppure incidente. L’esame sulla mummia ha accertato che non vi sono segni di morte violenta, se non si guarda quello alla nuca che appare come un colpo. Resta l’incertezza.

Fu sicuramente una morte prematura ed inaspettata e la sepoltura, naturalmente, dovette essere affrettata ed incompleta. Una sepoltura, però, che può essere considerata la scoperta archeologica del secolo scorso, poiché portò alla luce un tesoro spettacolare, in netto contrasto con la semplicità della tomba che lo conteneva. In quella modesta tomba, infatti, l’unico ambiente ad essere decorato era la camera funeraria. La ricchezza del corredo, invece, così eccezionale, fa pensare che non essendo pronta la tomba reale, si dovette usare una modesta sepoltura privata.

Un tesoro decisamente strabiliante e straordinario, come straordinarie furono le circostanze del suo ritrovamento, nel 1922, ad opera dell’archeologo inglese H. Carter. Quando questi lo portò alla luce, era la sola tomba reale ancora intatta, nonostante fosse già stata “visitata” dai ladri nel primo anno dopo la morte del Re. L’archeologo rimase letteralmente senza parole quando, praticata una breccia nel muro vi fece passare una torcia per guardarvi all’interno. Ai compagni che chiedevano cosa vedesse, rispose: “Cose strabilianti!”. Tale era il luccichio degli ori di tutti gli oggetti stipati all’interno di quella stanza.

Impossibile qui elencare tutti gli oggetti ritrovati: abiti, guanti, pettorali, bastoni, trombe, vasi, cassette, statuette, sistri, seggi. E poi ancora: mobili, letti, trono, statue, armi, maschere, sarcofagi… Tre i sarcofagi contenenti la mummia del Sovrano. Il primo, in legno dorato, si trova ancora oggi custodito nella tomba, nella Set Maat, ossia La Sede della Verità o… Valle dei Re. Il secondo è in legno placcato con lamine d’oro e pasta vitrea; il terzo è in oro massiccio dal peso di 1100 kg. con incrostazioni in lapislazzuli, corniola, turchese, ecc..

Le bare, però, riservavano un’altra sorpresa: addosso alla mummia del Sovrano si trovarono ben 143 gioielli di estrema bellezza e preziosità; erano distribuiti all’interno delle bende.

Infine la celeberrima maschera funeraria che gli copriva il volto, dai lineamenti nobili ed idealizzati.

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E’ in oro battuto, intarsiato con ceramica e pietre preziose e reca i simboli della regalità: la nemes blu e oro (il copricapo a fasce) l’ureo e l’avvoltoio sulla fronte e la barba intrecciata sul mento. Un capolavoro di ben 11 kg d’oro, questo ritratto amabile e giovanile che rappresenta il Sovrano in atteggiamento serena, ma di malinconica compostezza e che ispira commozione in chi lo osserva, insieme ad una lieve inquietudine.

Il compito di questa maschera era di proteggere il volto del Sovrano che, compiuti i magici riti di Rianimazione, sarebbe tornato a vivere per l’Eternità… e forse possiamo dire che davvero a questo Faraone l’Eternità è stata assicurata!

SESOTRI il Guerriero… e l’Esule SINUHE

SESOTRI il GUERRIERO… e l’ESULE SINUHE

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Sesotri e Sinuhe: due nomi le cui vicende si intrecciano benché il primo appartenga alla Storia e il secondo, invece, alla fantasia.
Conosciamo la storia di Sinuhe, l’esule egiziano malato di nostalgia, attraverso le pagine di un grande romanziere: Mika Waltari. Lo scrittore finlandese, però, postdatò la vicenda di diversi secoli, collocandola all’epoca del faraone Amenopeth IV (meglio conosciuto come Akhenaton) durante la XVIII Dinastia.
La storia originale di Sinuhe, opera propagandistica ma autentico capolavoro della letteratura egizia, risale invece al Medio Impero (periodo in cui vi fu un vero fiorire dell’arte letteraria egizia) ed alla XI Dinastia dei Faraoni.
Racconta la morte del sovrano, Amenemhat I° e l’ascesa di Sesori I°, proprio come Waltari nel suo “Sinuhe, l’egiziano” racconta la morte di Akhenaton e l’ascesa del faraone Haremhab, generale di Thut-ank-Ammon.

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In realtà non si tratta di un unico racconto continuativo, ma della stesura di vari papiri (molti dei quali incompleti) da cui é stato possibile ricostruire l’intera vicenda che, sebbene faccia riferimento a fatti e persone reali, é una storia immaginaria.
Si parla di un funzionario di corte, Sinuhe, che casualmente viene a conoscenza di un complotto contro il Sovrano, Amenemhat I°. Preso dal terrore, egli fugge e raggiunge il paese di Retenu, dove trova ospitalità e riceve onori. Trascorsi gli anni ed assalito da una crescente nostalgia per la sua terrra, egli chiederà al Sovrano di farlo ritornare in patria.
“Chi beve l’acqua del Nilo anche una sola volta, tornerà per berne ancora.”

Nel racconto vi si narrano, dunque, avvenimenti realmente accaduti: la morte del Re e l’ascesa del suo erede.
Il Re, Amenemhat é caduto vittima di una congiura di corte ordita nell’interno dell’ipet reale, il gineceo e guidata dalla Regina in persona. I fatti, però, sono avvolti nel mistero più fitto e gli storici ne discutono ancora oggi: il drammatico episodio, infatti, è narrato in prima persona dallo stesso Sovrano come se fosse ancora in vita.
“L’insegnamento di Amenemhat I° a Sesotri I°” é il titolo della composizione e il Sovrano si rivolge all’erede, il principe Sesotri, come in un “Testamento spirituale”.

Durante quei drammatici eventi, però, il principe Sesotri si trovava lontano dalla corte, impegnato in una delle tante guerre contro le turbolenti popolazioni confinanti: predoni del deserto, nubiani, libici, ecc..
Si trovava proprio a combattere contro i libici quando lo raggiunse la notizia dell’attentato in cui era rimasto vittima il Re e che aveva gettato il Paese nello scompiglio, essendo i congiurati infiltrati ovunque, perfino nelle file dell’esercito stesso.
Avvertito del pericolo, il principe tornò di nascosto nella capitale, It-Tani, nel Faiyum e rientrò a Palazzo, occupandolo e riprendendone possesso.

Secondo gli storici moderni, il Sovrano era ancora in vita quando fu raggiunto dal figlio e che a dettargli gli “Insegnamenti”, esortandolo a non fidarsi di nessuno dei cortigiani, sia stato proprio Amenemhat.
La versione originale, invece, riferisce di una apparizione del Re al figlio come “fantasma”.
In ogni caso, la cura del Sovrano morente era quella di far accettare il figlio quale legittimo erede al trono.
Perché tale preoccupazione?
Perché egli, Amenemhat I°, era considerato un usurpatore.
L’epoca dei Re-Dei che regnavano per volontà divina era terminata con Nicotri, l’ultima Regina della VI Dinastia. Era seguito un periodo difficile e travagliato, passato alla storia con
il nome di “Primo Periodo Intermedio” in cui l’Egitto aveva conosciuto disagi e calamità di ogni genere.

Sesotri, il cui nome significa “L’Uomo di Useret” (una Dea di cui si hanno poche notizie) riuscì a condurre il Paese verso la pace e la prosperità.
Egli fu un grande guerriero ed un valente conquistatore. Allargò notevolmente i confini del Paese giungendo quasi fino in Europa. Al contempo, si mostrò molto generoso con il suo popolo, attuando una illuminata politica di riforme amministrative, legislative e sociali che gli guadagnarono titoli quali: “Stella che illumina il Doppio Regno” o anche “Falco che conquista alla sua potenza” e nel romanzo di Sinuhe é definito “Maestro di saggezza i cui piani sono perfetti.”
Egli liberò dalla schiavitù molti prigionieri di guerra (che appartenevano al Faraone-Stato come ogni cosa in Egitto) e dal capestro dei debiti, tutti i sudditi; non mancò, però, di sedare prontamente e risolutamente ogni tentativo ri dibellione per evitare il ritorno all’anarchia del Periodo intermedio appena chiuso.

Sesotri fu anche un grande costruttore e dedicò a tutti gli Dei, da Ra ad Ammon, da Atum a Ptha, numerosi Templi; arricchì di complessi templari ed architettonici la capitale, dove si fece anche costruire la sua Piramide L’opera sua più eccellente, di cui sono rimaste solo poche tracce fu un grandioso Tempio dedicato a Ra-Haracthy.
Durante il Nuovo Regno, secondo un malcostume consolidato nel tempo, la monumenale costruzione, però, fu utilizzata come cava di pietra per le fondamenta di nuovi edifici.

Altro grande merito da riconoscere a questo Faraone, proprio come ad un moderno monarca illuminato, fu la valorizzazione del territorio del Faiyum attraverso una vasta opera di canalizzazione. Qui egli fissò anche la sua capitale: Shedet (battezzata dai Greci Coccodrillopoli) sotto la protezione di Sobek, il Dio-Coccodrillo, Signore-dei-Pantani.

MICERINO… e il giorno infinito

MICERINO… e il giorno infinito!
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Figlio di Keope, Micerino o Men-Kau-Ra, salì al trono intorno al 2490 a.C. e vi rimase per venti anni circa.
Erodoto non usa toni aspri, come ha fatto con i predecessori; lo stesso, però, non ci risparmia la calunnia. Dice di lui che é stato un Sovrano giusto e illuminato, la cui principale cura era il benessere dei suoi sudditi. Al contrario del padre, – dice ancora – che aveva fatto chiudere tutti i Templi e costretto la popolazione a lavorare solamente per lui, Micerino invece, fece riaprire Templi e Santuari e permise ai sudditi di lavorare anche per se stessi oltre che per il Sovrano. Ma poi aggiunge che gli Dei lo punirono proprio a causa di quella sua mitezza, riversandogli addosso sciagure degne del biblico Giobbe.
La prima fu la morte in giovane età dell’unica ed amatissima figlia.
Le cause della morte della giovane principessa, figlia della regina Khenramebty, in realtà,
sono del tutto ignote, ma la fantasia (un tantino perversa) dello storico greco supplisce alla mancanza di notizie.
Egli racconta che Micerino preso da insana passione per sua figlia, che viveva nel gineceo reale assieme alla Regina ed alle concubine, ne abusò.
Non reggendo alla vergogna ed al disgusto – racconta ancora lo storico – la principessa si impiccò e la Regina, sconvolta, fece tagliare le mani alle ancelle che l’avevano consegnata al padre.
Distrutto dal rimorso – continua il pruriginoso e fantasioso racconto – il Re fece chiudere il corpo dell’infelice principessa in un sarcofago dalla sagoma bovina, ricoperto da un mantello di porpora e lo espose in una apposita sala nella reggia di Sais.

Gli Dei, però, non perdonarono quel delitto (spiega ancora lo storico greco) poiché dalla città di Buto giunse al Sovrano un oracolo secondo il quale gli restavano da vivere ancora soltanto altri sei anni.
E qui la fantasia di Erodoto va davvero oltre ogni limite. Ecco cosa scrive:
“… poiché ormai contro di lui era stata pronunciata questa sentenza, si fece fabbricare molte lucerne: ogni volta che veniva la notte, dopo averle accese, beveva e godeva, non smettendo né di giorno né di notte: vagava per le paludi e per i boschi e là dove sentiva dire che c’erano luoghi più piacevoli e più belli. Aveva escogitato tutto ciò volendo dimostrare che l’oracolo era falso: per avere dodici anni invece che sei, essendo trasformate le notti in giorni…”

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In realtà, oltre questi fantasiosi dettagli della sua vita, di Micerino non vi sono, praticamente, altri dati storici. Si sa che durante il suo regno egli si dedicò soprattutto alla costruzione della sua Piramide e dei vari Templi e Santuari, facendo dell’Egitto, come già i suoi predecessori, un immenso cantiere. E si sa che in tutta la storia egizia, quello della IV Dinastia fu il periodo d’oro.

La Piramide di Micerino é la più piccola delle tre piramidi dell’altopiano di Gizah, ma é anche quella esteticamente più accurata e meglio rifinita. Anche le statue che lo ritraggono, a testimonianza dell’elevato grado di civiltà, sono di una grande armonia di linee e perfezione tecnica.
Questo Sovrano, il sui nome significa “Stabile é la potenza vitale di Ra” non ha avuto molta fortuna dopo la sua morte.
La sua Piramide, cui fu dato il nome di “Micerino é divino”, più di ogni altro monumento si vide “trasformata” in cava di pietre: fu a lungo saccheggiata per ricavarne pietre per la costruzione di Templi e sepolture.
Non é tutto!
Scoperto l’ingresso alla Piramide, nel 1837, dopo lunghe ricerche ed a seguito di una breccia praticata da Mamelucchi (gli stessi che avevano preso a cannonate la Sfinge), si riuscì a penetrare al suo interno fino a raggiungere la camera Funeraria dove fu trovato un sarcofago in basalto nero. Il coperchio, però, decorato a “facciata di palazzo” era rotto e ciò significava che la tomba era stata profanata. La bara di legno, al suo interno, conteneva resti umani, presumibilmente del Sovrano.
Inviato al British Museum di Londra, il sarcofago, però, non vi arrivò mai: la nave su cui viaggiava naufragò.
Il Faraone “punito dagli Dei” aveva scelto una nuova tomba!

KEFREN … e la Sfinge

KEFREN… e la Sfinge
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Il nome di questo gigante della IV Dinastia dei Sovrani d’Egitto é legato soprattutto alla costruzione della Piramide e della Sfinge, una delle tante raffigurazioni del Sovrano.
Figlio di Keope, egli succedette al padre dopo il breve regno di un altro fratello, Djedefra e come questi, anch’egli inserì nella lista dei titoli quello di “Figlio di Ra”, a dimostrazione dell’affermazione del culto solare nel Paese.

Kafra, il nome egizio, significherebbe: Ra quando sorge.
Sotto il regno di questo Sovrano non pare vi siano stati eventi storici di rilievo. In realtà, il Paese attraversò un periodo di pace e prosperità e lo dimostrano proprio la Piramide e la Sfinge fatte da lui costruire.
Tendenzioso e falso, dunque, il giudizio dello storico greco Erodoto il quale già s’era espresso assai durmente nei confronti di Keope. Secondo Erodoto, infatti, egli sarebbe stato un tiranno proprio come suo padre ed ecco in che termini si esprime:
“… gli egiziani, per odio, questi Re non vogliono neppure nominarli.”
E aggiunge, tralasciando il particolare non trascurabile che si sta esprimendo su fatti risalenti e tremila anni prima:
“Le Piramidi erano attribuite al pastore Filitis che in quel periodo pascolava in quei luoghi.”
Oggi lasciamo che queste affermazioni si commentino da sole.

Chi era questo Filitis?
In realtà, chi sia questo Filitis nessuno lo sa (sicuramente non lo sapeva Erodoto), ma si tende a collocarlo nell’epoca delle invasioni di popolazioni settentrionali provenienti dal Medio Oriente. Così facendo, però, si fa un salto cronologico di almeno mezzo millennio.
Oggi nessuno fra gli studiosi e storici seri e preparati crede più alle calunniose favole raccontate per secoli

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La Sfinge, questo straordinario monumento, assurto a simbolo dei misteri che ancor oggi circondano la civiltà egizia, porta il volto di questo Faraone e risale al 2570 a. C.
Corpo leonino e testa umana, sulla fronte l’urex, il cobra reale, la Sfinge simboleggia la natura divina del Faraone e nella storia dell’arte dell’uomo non c’è nulla che soprende quanto questo volto, simbolo del più profondo mistero.
Durante lo scorrere di tutti questi secoli, non c’è stata generazione capace di sottrarsi al suo fascino enigmatico.
Per gli Arabi era Abu-el-hol, ossia, “Padre della paura”, a testimonianza dei sentimenti di timore che l’immenso colosso di pietra era capace di suscitare in gente superstiziosa che la credeva una raffigurazione del male; per gli Antichi Egizi, però, era la Shepes-ank, “L’Immagine Vivente”, provvista di Ka e Ren = Spirito e Nome.
Imponente ed enigmatico, fin dall’antichità, questo colossale felino di pietra ha alimentato leggende ed aneddoti. (talvolta anche riprovevoli)
Ricordiamo il faraone Thutmosis IV che, ancora ragazzo, a seguito di un sogno in cui la Sfinge gli prometteva il trono se l’avesse liberata della sabbia che minacciava di seppellirla, le dedicò una stele. I Mamelucchi, qualche millennio dopo, l’aggredirono a cannonate, portandole via il naso e più recentemente, avventurieri senza scrupoli usarono la dinamite per penetrare al suo interno nella speranza di trovarvi tesori.

KEOPE… e le “Stanze di Thot”

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Khufu, meglio conosciuto come Keope, nasce nel 2589 e sale sul trono intorno al 2550 a.C. e continua l’opera di costruzione di suo padre, Snefru.
Di questo Sovrano la tradizione classica ci consegna il ritratto di un despota crudele ed insensibile. Un ritratto, in realtà, del tutto ingannevole che dà al lettore l’immagine falsata di
un’epoca in cui, al contrario, l’umanità raggiunse vette che non eguaglierà neppure in futuro: senza conoscere il ferro né la ruota, ma con la sola “potenza” della pietra, costruisce la più grande delle Meraviglie del Mondo Antico. L’immagine, però, di schiavi oppressi e costretti a lavorare sotto la sferza di guardiani aguzzini é del tutto falsa: un’opera complessa e mirabile come la Piramide, richiedeva competenza ed esperienza di personale qualificato come architetti, geometri, scalpellini e non era certamente impresa di schiavi e rozzi prigionieri nomadi.
Viene spontano, però, chiedersi perché mai Snefru, che pure fece erigere non una, bensì tre e forse quattro Piramidi, non gode della stessa pessima fama.
La risposta ce la fornisce la Storia o, più esattamente, gli storiografi greci ed in particolare Erodoto che, bisogna ricordare, scrive di fatti accaduti tremila anni prima e attinti a pettegolezzi, più che a fonti letterarie, dell’Egitto dell’epoca decadente.
Il culto alla persona di Keope, in realtà, come quello del figlio Kefren, era praticato ancora ai tempi di Alessandro Magno.

Testi risalenti alla sua epoca, invece, ce lo descrivono come un riformatore in ambito civile e religioso. Egli riordinò l’amministrazione dello Stato creando la figura del Gran Visir (Primo Ministro, diremmo oggi) scegliendolo in seno alla famiglia reale ed ottenendo, così, il controllo diretto su tutti gli altri Funzionari. In campo religioso, egli limitò il potere dei Sacerdoti, creando, però, lo scontento di alcuni di essi che si vendicarono denigrando la sua figura e il suo operato.
Oggi, grazie alle scene dipinte nelle mastabe dei Funzionari, conosciamo bene le condizioni di vita a quei tempi e conosciamo l’organizzazione dei lavori nei cantieri della Piramide: ferrea ma necessaria per il buon andamento del lavoro, proprio come avverrà in futuro per la costruzione di altre opere imponenti.

Nei racconti di Erodoto, Keope é un Sovrano odiato per aver ridotto in miseria il Paese.
“… giunse a tal punto di malvagità – scrive lo storico greco, vissuto nel V secolo – che, per bisogno di ricchezze, mise sua figlia in un bordello e le ordinò di farsi pagare una certa quantità di denaro: non dicono quanto. La figlia adempì agli ordini del padre…”
Nessuno oggi crede più a questa turpe calunnia, ma il marchio infamante é, comunque, rimasto attaccato alla persona e al nome di questo Sovrano colto e dotto come lo erano tutti i Re egizi prima e dopo di lui. Egli si interessò di Architettura, Astronomia, Astrologia e Storiografia Sacra dell’Egitto attraverso lo studio di antichi documenti religiosi antecedenti il regno di Menes.
Scrisse anche un trattato di Alchimia sacra ed ermetica.

Così come Snefru, suo padre, ci offre un quadretto idilliaco e familiare di lui in gita sulla Barca Reale, anche Keope ci offre in una scenetta familiare in cui compare attorniato dai figli che gli raccontano favole.
Djedefra, uno dei figli, gli parla di un mago, Djeda, capace di grandi prodigi, come domare un leone o riattaccare al collo una testa mozzata.
Keope, uomo sapiente e dalla grande sete di conoscenza, vuole mettere alla prova il mago. In realtà egli é alla ricerca del numero esatto delle “Stanze di Thot”, Dio della Conoscenza e della Magia, sul cui modello vorrebbe farsi costruire il Tempio Funerario.
Il principe Djedefra si reca dal mago e gli chiede di accompagnarlo a corte dove il Sovrano é
ad attenderlo.
Keope appare subito affascinato dalla personalità del mago, dalla sua saggezza e sicurezza e dalla veneranda età: centodieci anni.
Gli fa subito una domanda:
“Sai davvero riattaccare una testa mozzata?”
Alla risposta affermativa del mago, il Sovrano ordina di far decapitare un prigioniero, ma il mago si oppone:
“No! – dice – Non un essere umano, mio Signore, perché é vietato fare una cosa simile al gregge sacro di Dio.”
Il Sovrano accondiscende e fa portare un’oca a cui é stata mozzata la testa; ilmago la riattacca e la riporta in vita. Non ancora convinto, Keope fa portare un bue e il risultato é lo stesso. A questo punto il Sovrano gli chiede:
“Quante sono le Camere Segrete di Thot?”
Djeda gli risponde di non saperlo, ma che una possibiloità esiste per scoprirlo:
“Al Tempio di On (Eliopoli) è custodito uno scrigno di selce contenente l’informazione.” dice.
Come andò a finire?
I messi del Sovrano non trovarono nulla al Tempio: qualcuno li aveva preceduti ed aveva trafugato lo scrigno e il suo prezioso contenuto.

Chi volesse avere ulteriori notizie al riguardo, potrebbe leggere il libro storico-fantasy
“DJOSER e i Libri di Thot”
di Maria Pace – Editrice MONTECOVELLO

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http://www.montecovello.com/libro/fn/AXQGBWVOPD/djoser+e+i+libri+di+thot

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Re SNEFRU e le rematrici reali

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Quando si parla di questo Sovrano, fondatore della IV° Dinastia, lo si fa soprattutto in relazione alle sue tre Piramidi… forse anche quattro.
Di lui si può tranquillamente affermare che sia stato il più grande costruttore dell’Antico Egitto; benché le informazioni che lo riguardano siano piuttosto scarne, imponenti strutture architettoniche parlano per lui.
C’é un particolare, però, che ci mostra questo Sovrano sotto una luce inaspettata. Si tratta di un papiro su cui è riportato uno dei più deliziosi racconti dell’antichità, tanto da ispirare una delle leggende della Bibbia: la spartizione delle acque ad opera di Mosè.
Leggiamo questo racconto, tracciato sul famoso papiro Westcar.
E’ il racconto di un’allegra e piacevole gita in barca sulle acque del Nilo; una scena idilliaca.
Ai remi della barca reale, splendente di ori ed avori, venti bellissime rematrici solcano il Nilo controcorrente. Sono le ragazze più belle del regno e ridono e cantano per la gioia del Re, il quale si gode lo splendido panorama degli argini del fiume arruffati di papiri e dei campi verdi del grano appena germogliato. Ma anche le fanciulle, coperte solamente da veli svolazzanti, sono una gioia per lo sguardo del Sovrano che, ad ognuna di loro, ha donato un bel fermaglio d’argento.
Quand’ecco che una delle rematrici, proprio quella che dà il ritmo alla voga, interrompe il canto e smette di remare. Lo stesso fanno le compagne.
Il Re preoccupato chiede che cosa sia successo. Gli rispondono che la ragazza ha fatto cadere in acqua il suo fermaglio ed è molto triste.
Il Re, però, sorride indulgente e promette alla fanciulla un fermaglio ancora più biù bello.
La fanciulla, però, non vuole un altro gioiello, vuole proprio quello e continua a piangere.
Sua Maestà le assicura che riavrà il suo fermaglio, ma che per raggiungerlo, sul fondo del fiume dove si trova, occorre l’opera di un mago e manda a chiamare Djedja, il “grande di magia” il quale arriva immediatamente e si mette all’opera.
Per mezzo di formule magiche, Djedja pratica un incantesimo: divide le acque del fiume e ne solleva una metà sull’altra e così in breve tempo il fermaglio viene recuperato e riconsegnato alla fanciulla; le acque vengono ricomposte e la gita può riprendere.

La bellezza e la grazia di questo racconto, che in realtà nasconde una simbologia religiosa, ci mostra il grado di raffinatezza culturale ed estetico raggiunto dalla corte di questo Sovrano.
A testimoniarlo sono, oltre alle numerose opere architettoniche, anche i gioielli e l’arredo raffinatissimo, rinvenuti nella tomba della sua sposa, la regina Hetephereses.
Il suo, fu un regno pacifico, a parte la spedizione in terra di Sinai per domare una rivolta di nomadi e il suo nome continuò ad essere venerato ancora nel Medio Impero ed oltre.
Sotto questo Sovrano fiorirono botteghe di artigiani, artisti, scultori, ecc… si aprirono cantieri navali e si approntarono spedizioni commerciali.
Il regno di Snefru, a ben ragione, dunque, si può collocare in uno dei periodi più prosperi e felici della storia egizia. Quasi un’età dell’oro.

DJOSER IL MAGNIFICO

DJOSER…. Il Magnifico
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Secondo Sovrano della III° Dinastia può essere, in verità, considerato il vero fondatore per aver condotto il Paese verso uno dei periodi più illuminati di tutta la storia d’Egitto.
Il nome Djoser o Zoser, ossia il Magnifico, gli fu dato più tardi, forse durante il Primo Impero; il suo vero nome era Neterierkhet che all’incirca significa “Sacro per eccellenza”.
Il suo nome è legato soprattutto a Sakkara ed all’imponente Piramide a Gradoni, opera del multiforme ingegno di Imhotep.
Di certo l’Egitto era un Paese già unito quando egli salì al trono, poiché la costruzione di un’opera così colossale fu tale da richiedere la partecipazione di tutto il Paese e non sarebbe stato possibile altrimenti.

Sappiamo poco di lui, ma di certo si sa che era un uomo saggio e colto; ha perfino lasciato degli Scritti Sapienziali, utili per futuri Sovrani. Ed era autoritario, ma giusto, come si conveniva ad un Re-Dio e la sua memoria fu onorata fino al Tardo Impero.
Sappiamo, grazie ad una iscrizione rinvenuta nello Wady Hammamat che inviò spedizioni in Siria, di cui sfruttò le miniere di rame e sappiamo che tenne lontano dai confini, le orde di nomadi del deserto.
Di certo fu Djoser a trasportare la capitale a Memfi, facendone una città splendida e degna degli epiteti con cui era conosciuta: La Città dal Muro Bianco, Memfi la Bella, Memfi la Prospera, ecc.
Ma fu sotto il suo regno che si verificò un episodio che sembra appartenere più alla leggenda che alla storia e che con molta probabilità ispirò il biblico episodio di Giuseppe.
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Si parla di una terribile siccità che avrebbe colpito per sette lunghi anni il Paese. Se ne parla in una stele d’epoca Tolemaica, forse in occasione di uno dei tanti eventi che periodicamente colpivano il Paese.
E’ il racconto di un Sovrano afflitto per la sofferenza, le disgrazie e i disagi in cui versa il suo popolo; da sette anni, infatti, l’Egitto é in preda alla miseria.
“… i bambini piangono, i vecchi aspettano la morte, perfino ai più forti vengono meno le forze.. – si lamenta Djoser – I battenti dei Templi si chiudono e il culto agli Dei non viene più praticato…”
Non resta che chiedere responsi all’oracolo di Thot e il Sovrano invia emissari ad Herancopolis dove i sacerdote del Divino Ibis, consultati i Testi Sacri, riferiranno al Re la risposta.
Ed ecco la risposta: Khnum, il Divino Ariete, – riferiscono i messaggeri – tiene i Sacri Sandali appoggiati alle acque del Nilo nell’Isola Elefentina, dove ama dimorare e solo quando li solleverà, l’acqua tornerà a fecondare la terra.
Djoser – riporta ancora la stele – capisce che il Signore delle Acque vuole essere onorato e questo egli fa : lunghe processioni sulle rive del Nilo, canti e preghiere, doni e sacrifici. E Khnum gli appare in sogno e gli promette che toglierà i Sandali dalle acque.
Djoser si sveglia e il miracolo si compie: il grano torna a germogliare e la terra a rinverdire e il popolo é nuovamente felice: la saggezza e la devozione del Re hanno riportato l’abbondanza ed allontanato la miseria e la fame.
Il Re ha mostrato di essere l’intermediario tra uomini e Divinità.

L’opera più importante legata a questo Sovrano, però, é sicuramente la Piramide a Gradoni: una vera città-labirinto sulla cui funzione, però e complessa disposizione si continua a discutere. Così come si discute o più esattamente si é cominciato a discutere, sull’unità strutturale della Piramide.
L’intero complesso é stato davvero costruito a più riprese? Una mastaba e due successive modifiche? Sono in molti, tecnici e studiosi, che mettono in dubbio questa teoria, asserendo, invece, che la grande opera abbia seguito il progetto iniziale.
Soprattutto ci si interroga ed a ben ragione, su quella che appare come necessità di cambiamento del progetto iniziale, quasi una correzione.
Ma é plausibile che l’immenso genio di Imhotep abbia conosciuto incertezze, tentennamenti e necessità di modifiche?
D’altro campo, nemmeno Djoser era uomo indeciso. Non é così che ci appare raffigurato nelle statue del serdab (saletta, nelle tombe, contenenti statue del defunto). Egli ci appare ieratico e sicuro; l’espressione grave e consapevole, propria di colui che rappresenta il mediatore in terra tra Dio e Uomo.

Ahà Il-Combattente

AHA il Combattente

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Fu, con molta probabilità, il secondo Sovrano d’Egitto dopo NARMER, di cui, sempre probabilmente, era l’unico figlio maschio.
Ancora oggi si dibatte per stabilire se quel NEMES, il Faraone che fece deviare il corso del Nilo, fosse Narmer oppure Aha: il padre oppure il figlio.
Aha, ossia il Combattente, è una figura dai contorni sfumati che oscilla fra Storia e Mito.
Aha si meritò in pieno il titolo di Combattente per le sue numerose campagne militari.

. Così come il padre, re Narmer, aveva combattuto allo scopo di unificare le Due Terre del regno e cioè, L’Alto Egitto e i “Seguaci di Horo” e il Basso Egitto e i “Seguaci di Seth”, anche Aha combatté per contribuire e certamente ci riuscì, ad avvicinare l’Egitto del Sud, di cui era originario, all’Egitto del Nord.
Oltre alle battaglie interne, si batté e vinse sia contro la Nubia che contro la Libia ed intrattenne rapporti commerciali con la florida e ricca Byblos.

Come ogni vero Sovrano, Aha non si limitò a condurre guerre di conquiste e consolidamento del suo Regno. Come prima di lui Re Scorpione e lo stesso re Narmer, anche Aha si dedico allo sviluppo economico e sociale del Regno.

Allo scopo, condusse studi e richerche in diversi campi. La sua preferenza, pero, andava a Medicina ed Architettura.
Sappiamo {ce lo dice Manetone, sacerdote greco/egizio, autore di un-opera storica sulla Storia dell Antico Egitto che divise in 30 Dinastie, che egli approfondi studi di Anatomia ed Edificazione.

Questo Sovrano, inoltre, fece edificare, tra gli altri, un Tempio che dedico a Neith, una delle Dee piu antiche d-Egitto, che si rivelo una mossa strategica e politica nello sforzo di unificazione del Regno.

Si fece costruire due tombe: a Sakkara ed Abydos, però non si sa in quale delle due sia veramente sepolto. Non si sa, cioè, quale delle due sia un semplice cenotafio, ossia una tomba simbolica in cui a riposare sia soltanto il Ka, ossia lo Spirito.

Politicamente, la scelta di due tombe gli permetteva di riposare sia nell’Alto che nel Basso Egitto e, per di più, la presenza di una tomba o cenotafio che fosse, gli avrenne permesso di essere vicino ad Osiride almeno con lo spirito.

NARMER… Colui-che-Perdura

NARMER Colui-che-Perdura

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Storia e mito circondano la figura di Narmer, conosciuto anche con il nome di Menes, primo Re dell’Egitto Dinastico. Perfino la sua morte è avvolta dall’alone di una suggestiva leggenda.

Si narra che durante una partita di caccia i suoi stessi cani lo abbiano segui ed erano per sbranarlo quando, come per incanto comparve un coccodrillo che lo mise in salvo permettendogli si salire sulla sua groppa.

Ad ucciderlo, invece, sempre secondo la leggenda, fu un ippopotamo.
Come spesso accade, però, anche qui il mito trova riscontro nella realtà storica: l’ippopotamo era animale sacro al dio Seth e i “Seguaci di Seth”, popolazioni del Delta, avevano come simbolo proprio questo animale.
Nermer, forse, morì durante una delle tante battaglie condotte contro quelle popolazioni che egli aveva sconfitto, unificando il Paese.
Fu da allora che il territorio fu indicato con il none di “Terra dei Due Regni” o “Paese delle Due Terre”.

Le battaglie tra i “Seguaci di Horo” e i “Seguaci di Seth”, del Basso Egitto i primi e dell’Alto Egitto i secondi, furono numerose e si trascinarono per lungo tempo con alterne vicende.
Si ignora da dove fossero giunti i “Seguaci di Horo”, gli invasori; si suppone che abbiamo invaso il territorio attraverso il Delta conquistando le popolazioni indigene: i “Seguaci di Seth”

La battaglia che condusse alla’unificazione del territorio, forse, fu una soltanto e venne minuziosamente descritta in quella che conosciamo come la ”tavolozza di Narmer”, tavoletta di scisto verde per il trucco.
Si tratta di un documento di straordinario interesse: un vero bollettino di guerra. Vi si narrano le fasi della battaglia, la vittoria e le celebrazioni.

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Decorata su entrambi i lati riporta nella facciata principale il Faraone con il seguito, sotto un registro con la dea HATHOR; più in basso vi si trova la ciotola formata dal colo incrociato di due animali fantastici tenuti al guinzaglio e sotto è raffigurato un toro, simbolo della vittoria regale.

Sulla facciata posteriore, invece, giganteggia la figura del Sovrano che annienta i nemici,

Narmer, il Sovrano vincitore ed unificatore del Paese appare per la prima volta raffigurato con entrambe le corone: quella rossa del Basso Egittoe quella Bianco dell’Alto Egitto.
Unificare il Paese non fu il solo merito di questo grande Re-Guerriero, Narmer portò l’intero territorio dalla condizione preistoria alla storia e tutti gli studiosi sono concordi nell’affermare che egli sia stato anche il fondatore di Memfi, capitale che resterà sempre uno dei centri religiosi, politici e culturali di tutta la storia egizia e che costituisce il capolavoro di questo Sovrano.

Possiamo immaginare Memfi, la Città-del-Muro-Bianco splendente di Templi e Palazzi, strade ombreggiate da palme e case in mattoni crudi, ma tutte con giardino.

Fu proprio il nome del grande Tempio di Memfi, dedicato al dio Ptha, protettore della città e del territorio, a dare il nome al Paese:
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che significa: DIMORA DELLO SPIRITO DI PTHA, che i greci tradussero in: AE-GI-PTHOS e da cui Egitto.
Fu Narmer a istituire i Nomi (ossia le Province) per meglio amministrare il territorio e fu lui a far “deviare” il fiume dando seguito ad un ingegnoso sistema di canalizzazione ed irrigazione iniziato con il Re Scorpione, che trasportava le acque il più lontano possibile.
Sotto il suo regno sorgono granai, si innalzano Templi, si costruiscono palazzi e città e si da impulso all’artigianato ed alla agricoltura; nascono e si sviluppano cantieri navali, si organizzano spedizioni commerciali soprattutto di rame e legno.
Con lui nasce anche il concetto di proprietà terriera con cui ricompensa chi lo ha servito fedelmente e nasce così la casta dei Dignitari. Si tratta,però, di un’economia religiosa, controllata dal Tempio, di cui il Sovrano é anche Gran Sacerdote. I campi sono recintati e parte dei raccolti, controllati da scribi, é destinata ai Tempio per essere redistribuita durante i frequenti periodi di carestia o siccità.

RE SCORPIONE

RE SCORPIONE

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Fu l’ultimo Sovrano della Dinastia 0.
Va precisato che non si trattava di veri e propri sovrani, ma di capi e principi locali.
Secondo le antiche credenze religiose e storiche, in Egitto in origine regnavano gli Dei, cui succedettero i Semi-Dei, i quali prepararono l’avvento al trono agli uomini.

Re Scorpione, secondo la tradizione, era l’ultimo dei Re Semi-Dei.
Comparve sulla scena nell’Alto Egitto quasi all’improvviso ma, in realtà, la sua presa di potere fu frutto di strategia militare, diplomazia e conoscenza scientifica (in relazione soprattutto alla metallurgia dell’epoca del bronzo, alla distribuzione delle acque mediante la canalizzazione ed allo sviluppo dell’agricoltura.
Scorpione fu anche un Re-Guerriero e lo testimonia la straordinaria “Mazza da guerra” in calcare, proveniente dal sito di Jerancopoli, l’allora capitale del territorio e conservata al Museo di Oxford.
Questo reperto é, in sostanza, l’affermazione da parte di Re Scorpione (questo nome gli è stato dato dal geroglifico dello scorpione inciso sulla mazza) della sua sovranità sul territorio dell’Alto Egitto ( il Sud del Paese) e sulle popolazioni, compresi i nomadi che si spostavano di oasi in oasi.

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Sarà con il Re-Scorpione che si comincerà a delineare l’Egitto Faraonico.

Lo Scorpione non è certo il personaggio presentato nell’ultimo film, (dagli effetti speciali e dalle tante inesattezze storiche) ma è certamente una figura straordinaria.
Non si presenta come un principe o capo-clan, (numerosi, all’epoca), ma come un vero Monarca incoronato.
Non si limita a guerreggiare e conquistare popoli e territori, ma trasforma paludi e terre aride in terre coltivabili. Controlla le piene del fiume, favorisce lo sviluppo dell’agricoltura e della pastorizia, quello della lavorazione del legno e del metallo, della tessitura e della ceramica.
Lo Scorpione è, in verità, il primo grande Sovrano di un Egitto non ancora unificato.

Su di lui fioriscono molte leggende, leggende, che affondano le proprie radici in miti assai lontani, risalenti alla lotta fra i Seguaci di Horo e i Seguaci di Seth.
Si tratta di un mito (quello della lotta fra Horo e Seth) che trova riscontri nelle vicende storiche e cioè, nelle lotte fra popolazioni dell’Alto e del Basso Egitto prima dell’unificazione dell’intero territorio.

Il mito.
Scorpione, il cui nome dovrebbe essere Selk-Hor (Selk, come Scorpione e Hor, come seguace di Horo), secondo la leggenda era figlio di un principe locale seguace di Horo e della dea Scorpione. Sterminata la famiglia a seguito di un’ennesimo scontro (o congiura) e scampato all’eccidio, il ragazzo venne allevato da un fedele servitore.
Valente guerriero e gran conoscitore della metallurgia, costui lo rese edotto dei “segreti della natura” e lo avviò alle armi, fino al momento della riscossa… il resto è quel poco che si può dedurre dalle scoperte archeologiche.